#Venezia76: la recensione di No. 7 Cherry Lane di Yonfan
Immaginate di entrare in una sala cinematografica e di vedere di fronte a voi i disegni di una città che sembrano piuttosto delle fotografie. L'aspettativa sulla qualità del film sale di colpo. Ma quasi subito un elemento di irrealtà subentra sulla scena: l'ombra di un aeroplano assolutamente sproporzionato si staglia sulle case e sulle strade. A posteriori, posso dire che il progetto di Yonfan è ben sintetizzato nella sequenza di apertura di No. 7 Cherry Lane: il film, che ha impiegato ben sette anni per venire alla luce, è un caotico intreccio di realtà e dimensione onirica.
Un voice-over ci accompagna durante la narrazione di questa storia non particolarmente originale: sullo sfondo delle proteste a Hong Kong del 1967, si configura la storia d'amore tra l'universitario Ziming (personaggio quasi autobiografico), la giovane Meiling e la madre di lei, Mrs. Yu. Già solo il riferimento temporale e il nodo centrale della trama richiamano un classico della storia del cinema: Il laureato di Mike Nichols. Yonfan non fa mistero dell'ispirazione, inserendo un richiamo esplicito al film in una scena in cui il titolo campeggia sull'entrata di un cinema.
Il problema di No. 7 Cherry Lane è la mancanza di autenticità e originalità: è un film che sembra fatto per compiacere il pubblico occidentale, sperticandosi in riferimenti alla nostra letteratura, al nostro cinema e ai nostri stili di vita. Citazioni alla Recherche proustiana, imitazioni mal riuscite dei film della nouvelle vague, continui rimandi all'Europa e all'America sono il tributo maldestro che Yonfan fa all'Occidente, sperando di suscitare il nostro interesse in un atto di estrema ruffianeria. A lungo andare, però, queste citazioni diventano sfiancanti, come nelle interminabili scene che riproducono improbabili film francesi a cui assistono Ziming e la signora Yu e che dovrebbero costituire una metafora o un riflesso del loro rapporto, in bilico tra il detto e non detto.
La cornice storica è effimera e pressoché inutile ai fini della trama (diversamente da A herdade), se non per una breve scena accompagnata da una canzone c-pop cantata in chinglish, con un involontario effetto comico e anticlimatico. Lo stile di questo lavoro di animazione è caratterizzato, inoltre, da una lentezza innaturale dei movimenti dei corpi nello spazio. Questa lentezza, che dovrebbe amplificare l'impressione onirica della narrazione, finisce invece per snervare lo spettatore, con scene poco significative dilatate fino all'esasperazione.
In conclusione, No. 7 Cherry Lane è l'alunno bravo che non si applica: un film con un potenziale enorme ma ridotto alla banalità più totale. Le idee che lo animano sono artisticamente valide, ma l'esecuzione ha qualcosa di stranamente e fastidiosamente amatoriale. In poche parole: bocciato.
A cura di
Chiara Nasoni
Data di pubblicazione: 07/09/2019
Categorie: recensioni
Tag: A Herdade, Albano Jerónimo, Ana Vilela da Costa, João Pedro Mamede, João Vicente, Miguel Borges, Sandra Faleiro, The Domain, Tiago Guedes
